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Il Santuario della Madonna di
Picciano sorge su una delle numerose colline che fanno da passaggio tra
l'ambiente semi-montuoso della Lucania nord-orientale e l'altopiano delle Murge. La contrada si trova in posizione privilegiata, per quanto riguarda
la viabilità, attraversata da un importante tratturo preistorico, divenuto
successivamente un prolungamento dell'asse viario che, lungo la valle del
Bradano, collegava la costa ionica e le città dell'entroterra dell'area
Appulo-Lucana. Le più antiche tracce di presenza umana sul posto sono
state rinvenute ai piedi del colle, nelle grotte lungo la gravina, rifugio
naturale e particolarmente adatto ad attività di scavo e di modellamento.
I reperti archeologici - i più antichi risalenti al Paleolitico Medio-Inferiore (circa 300.000 anni fa) - attestano una immemorabile
attività litica e, successivamente, pastorale. |
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Gli antichi cronisti locali
affermano che la chiesa e il primitivo insediamento monastico di Picciano
era sito lungo la gravina, nel luogo di basso detto il "grottolino" e che,
successivamente, si trasferì sul colle. In effetti, fin dall'Alto
Medioevo, i "grottolini" di Picciano furono riutilizzati da qualche
eremita o piccola comunità religiosa di tipo lauriotico, anche se
difficilmente è ipotizzabile che si trattasse di una comunità benedettina.
Segno superstite di questa antica presenza religiosa, alle falde del
colle, è la cosiddetta "cappella dei Grottini", sulla sponda destra del
torrente.
La notizia documentaria più
antica sulla presenza di una comunità monastica a Picciano si trova in un
documento del 1219 in cui, tra i sottoscrittori, figura un tale "Gulielmus
Abbas Monasterii S.Mariae de Picciano, sex milliaribus ab eadem urbe
dissiti". Altri documenti, anche se frammentari, mostrano la crescita
e l'importanza del monastero: in una bolla di Gregorio IX, nel 1238,
l'abate di Picciano è tra i visitatori designati dal papa per verificare
la burrascosa situazione del monastero di Ognissanti di Cuti; nel 1252,
papa Innocenzo IV incarica l'arcivescovo di Trani di verificare le
modalità canoniche dell'elezione e l'idoneità della persona di fra Andrea,
eletto abate del monastero di S. Maria di Picciano.
La metà del sec. XIII è un
momento di floridezza economica del monastero, così come ci è attestato da
una serie di donazioni, compravendite ed acquisizioni di diritti ed
immunità. Nel 1273, il monaco Giovanni, già cellerario del monastero,
viene eletto abate di Picciano e papa Gregorio X dà incarico ai vescovi di
Conversano, Bitetto e Ruvo di verificare la canonicità dell'elezione ed
eventualmente confermarla con il conferimento della benedizione abbaziale. La presenza benedettina sul
monte di Picciano segna l'inizio dell'importanza del luogo e dà l'avvio
ufficiale alla devozione della Madonna, sotto il cui titolo era stato
edificato il monastero. Furono i benedettini, probabilmente, ad avviare la
costruzione di un dignitoso oratorio, con il bel portale d'ingresso,
scolpito a motivi geometrici, treccia e reticolato, sormontato da un
piccolo rosone. L'interno, a navata unica
longitudinale, era in stile romanico, come si può ancor oggi vedere, con
filari di tufo bicromo,
giallo e bianco. Il fondale, rivolto ad oriente, terminava con un piccolo
abside, di sobria ma graziosa bellezza.
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Nel sec. XIV ai monaci
successero i cavalieri. Ancora oggi non sono del tutto chiare le modalità
del passaggio del luogo dalla comunità monastica all'ordine Templare prima
e ai Cavalieri di Malta poi. Gli autori locali hanno formulato varie
ipotesi, tutte però prive di un'attendibile documentazione storica. Di
certo è che alla fine del '300 i Cavalieri di Malta possedevano il colle e
un tal "frater Ludovicus" è detto "Praeceptor Picciani". Nei circa quattro
secoli di esistenza, la Commenda di S. Maria di Picciano estese
notevolmente i suoi beni in numerosi centri della Puglia e della
Basilicata. La presenza dei cavalieri determinò una profonda
trasformazione del colle. La costituzione di un feudo comportò
la presenza di ambienti adatti ad un tipo di economia curtense, con
palazzo commendatale, magazzini per attrezzi agricoli, depositi per
derrate, fosse frumentarie, stalle, officine etc.; |
inoltre, il colle venne
fortificato con una cinta muraria ed una torre campanile con
postazione di balestriere.Lavori di ampliamento e ristrutturazioni
furono effettuati anche nell'oratorio, con la probabile modifica del
soffitto e la realizzazione di un grande affresco absidale
raffigurante la scena evangelica dell'Annunciazione.
Verso la fine del sec. XVI, forse per
il prevalere di esigenze pratiche su teorie simboliche, si invertì
l'orientamento della chiesa, con lo sfondamento dell'abside e la
collocazione del presbiterio a ridosso dell'antico portale d'ingresso.
Dell'affresco absidale fu
salvata, con una rudimentale tecnica di scucitura dei tufi, l'effigie
della Vergine, la quale fu collocata in un altare laterale. La rischiosa
operazione indusse il commendatore Giangirolamo Caraffa, sotto il quale furono realizzati questi lavori, a far
dipingere una copia del quadro che tenne poi per sè a Matera, a Barletta e
infine a Malta. Il completamento dei lavori, in modo più dignitoso, si
deve al commendatore fra Silvio Zurla di Crema (1642-1685) che fece
costruire sul nuovo altare maggiore un ancòna di pietra, intagliata
con figure a rilievo, e vi fece trasportare la sacra immagine della
Vergine, proteggendola con un gran cristallo fatto venire da
Venezia.
Inoltre, lo Zurla
completò la navata laterale a sinistra dell'altare maggiore, con la
costruzione di due altari devozionali, intonacò e imbiancò tutta la
chiesa, aggiunse le vetrate alle finestre e rifece il pavimento in
mattoni.
La chiesa ebbe il suo aspetto definitivo
nel 1794 allorché il commendatore fra Pierantonio Gaetani vi aggiunse una
terza navata a destra di quella centrale. Nel territorio del feudo di
Picciano, il commendatore godeva i diritti di esenzione e di giurisdizione
civile e criminale, che amministrava specie nei giorni delle festività
della Madonna, quando il colle veniva visitato da numerosi pellegrini.
Inoltre, il commendatore nominava anche i cappellani, in numero di
quattro, che godevano, a loro volta, di tutte quelle esenzioni e privilegi
spettanti ai frati cappellani della religione del Sovrano Ordine; essi
dipendevano dal commendatore come loro ordinario.
La Commenda di S. Maria di
Picciano ebbe vita fino al 18 giugno 1807, data di abolizione di tutte le
prelature, commende, legati, cappellanie e benefici ecclesiastici, e di
incameramento dei loro beni da parte dello Stato. Un'appendice si ebbe
allorché, con decreto regio n.331 del 16 aprile 1816, il re di Napoli
restituì la Commenda di Picciano al balì Giuseppe Caracciolo di Santeramo
in cambio di quella di Casal Trinità, che restò indemaniata. |
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L'attuale
oratorio-santuario si presenta esternamente come un edificio rettangolare,
lungo circa mt. 30,80 e largo mt. 20,85, coperto da un tetto a spioventi.
Detto in precedenza dell'inversione dell'orientamento della chiesa, a fine
'500, va tenuto presente che l'antica copertura del sacello era a cupole,
in numero di due o tre, sul tipo iconografico di altre chiese benedettine
in terra di Bari. Crollate le cupole, a causa di terremoti, nel '600 si
pensò bene di non ricostruirle preferendo la più semplice e sicura volta a
botte, ampiamente diffusa sul territorio. |
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Una delle più antiche
descrizioni delle manifestazioni devozionali alla Madonna sul colle di
Picciano ci è fornita dal cronista materano Eustachio Verricelli. Nella
sua cronaca del 1595 scrive che "il di" della Nonciata a 25 di marzo se fa
la festività con molto concurso dei forastieri per Ili grandissimi
miracoli che fa ...".
La data della festività, il 25 marzo, il gran concorso di fedeli e i
moltissimi miracoli continui e noti trovano conferma nel Cabreo del 1596.
Più tardi, il Cabreo del 1674 registra l'aumentata devozione e quantifica
a dodicimila anime il numero dei pellegrini che salgono al santuario
il giorno della festa. E specificato che i fedeli non sono solo
materani, ma provengono da tutte le provincie circonvicine.
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In modo particolare grande è
la devozione che spinge molti abruzzesi a recarsi al santuario per la
festività dell'Annunziata continuando una plurisecolare tradizione,
sedimentata nel tempo da generazioni di pastori in transumanza sul
territorio materano. Furono proprio costoro i più fervidi promotori della
devozione e gli organizzatori dei festeggiamenti. A loro risale, tra il sec.
XVII e il XVIII, la storia popolare, fissatasi nella cantilena, che narra
del vaccaro abruzzese il quale, alla ricerca dei buoi smarriti, riceve
l'apparizione della Vergine che gli confida di voler un tempio in suo
onore sul colle.Impegnatosi alla ricerca di fondi e non riuscendo a
concretizzare nulla presso i materani, a causa di una cattiva annata, il
buon uomo si recò a questuare nelle contrade abruzzesi ove racimolò il
necessario per la costruzione del santuario che sorse, come d'incanto, nel
1722.
Tralasciando quanto è frutto della fantasia popolare, alcuni elementi di
questa canzoncina popolare meritano di essere presi in considerazione come
l'accenno al solenne pellegrinaggio di popolo e di clero guidato dal
vescovo di Matera per la consacrazione ufficiale del luogo di culto.
L'evento sancisce il passaggio da ciò che è semplicemente devozione
popolare a culto ufficiale della chiesa locale. Il Cabreo del 1699 ci
informa che in occasione della festività i fedeli sono assistiti da dieci
sacerdoti confessori e da altrettanti preti che cantano le litanie. |
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Sempre
il giorno della festività del 25 marzo, nel cortile di Picciano, esenti da
tasse governative, mercanti ed altre persone vendono roba e danno luogo ad
una piccola fiera. Il tutto avviene sotto
la giurisdizione del commendatore che riceve l'affitto dei luoghi
utilizzati e controlla pesi e misure; in più, per comodità della gente che
concorre alla festa, si fa preparare un'osteria nella quale si vende pane,
vino ed altre robe commestibili. Nella sua cronaca del 1751, il Nelli ci
informa di "un'infinità di popolo, non solo materano, ma forestieri anche
da paesi lontani". Il loro numero raggiunge le quindicimila e più persone.
Succede allora che "le gentaglie stanno dentro il bosco che vi è
all'intorno di detto monte, ed altri che non possino avere stanze vanno ad
alloggiare in qualche masseria ivi vicina".
L'afflusso dei
pellegrini, oltre che per la solennità del 25 marzo, continua anche per
tutto il mese di maggio e in altre feste mariane dell'anno. I fedeli che
salgono al santuario lasciano offerte votive, donativi vari e denaro per
messe e litanie, nonché per l'acquisto di cera, olio, vasi sacri etc... La
devozione alla Madonna di Picciano non è viva solo nel cuore delle classi
popolari, ma è sentita anche dai ceti più elevati, che concorrono con
munifici donativi e opere varie. Si è già accennato alla devozione del
commendatore Gian Girolamo Carafa che nel 1601 fece fare una riproduzione
della sacra effigie a grandezza naturale e la tenne sempre con sé. Nel
1609 Angelo Peres, "seu Donato de' Peres", lasciò per legato testamentario
alla cappella della Bruna duecento ducati per la realizzazione di una
piastra d'argento con l'immagine della Madonna di Picciano. Di probabile
origine ecclesiastica è la committenza dell'affresco che riproduce, in un
periodo di tempo piuttosto tardivo, la Madonna di Picciano sulla parete
sinistra della chiesa rupestre materana di S.Maria de Idris al Sasso
Barisano.
Sapore più popolare ha l'affresco che si ritrova nel Convicinio
di S. Antonio Abate, al Sasso Caveoso, e che s'ispira alla tarda tradizione
dell'apparizione della Madonna al vaccaro abruzzese.
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Come già accennato in
precedenza, ad un periodo piuttosto tardivo, forse inizio del sec.XVIII,
si deve la costruzione e l'uso della statua processionale della Madonna.
Di essa non si ha menzione alcuna nelle fonti antiche ed è presumibile che
sia stata introdotta da pastori abruzzesi, divenuti gestori ufficiali
della festa, almeno fino alla fine del '700.
II Copeti, cronista materano, ci dà notizia di un dispaccio del 1785 che
interdice agli abruzzesi la colletta per l'organizzazione della festa;
l'incarico allora passò ai materani, anch'essi, per lo più gualani e
pastori. A questa notizia si può collegare l'episodio che si racconta a
Castel del Monte (prov. dell'Aquila, allorché, in conseguenza di un
presunto torto subito, un signorotto del luogo indusse i pastori a
prendersi la statua lignea della Madonna di Picciano, fatta costruire a
loro spese, e a trasportarla a tappe nel loro paese, ove fu riposta nella
chiesa di S. Caterina. La grande devozione
della gente del luogo portò anche alla costituzione, nel 1791, della
Congregazione della SS. Annunziata detta di Picciano, con sede nella chiesa
di S. Caterina di Castel del Monte. Un'altra Confraternita di S. Maria
dell'Annunziata di Picciano si formò, ai primi dell'800, anche a Matera.
Essa era costituita dai devoti dei paesi del circondario, in modo
particolare Grassano e Montescaglioso. La Confraternita fu approvata con
regio decreto il 3 maggio 1835 e, il 13 settembre 1836, ebbe
l'autorizzazione del Balì fra Giuseppe Caracciolo di officiare nella
chiesa materana Mater Domini appartenente ancora alla medesima Commenda.
Dello svolgimento della festa e delle manifestazioni devozionali di questo
periodo il conte Giuseppe Gattini ci offre una vivace descrizione. I
pellegrini affluivano in gran numero il giorno della vigilia e accendevano
falò attorno ai quali stazionavano con canti e gozzoviglie tutta la notte.
"Ciò non impediva come tuttavia si facessero l'indomani le funzioni in
chiesa ed una processione all'aperto con una lunga ed ordinata fila di
uomini, donne e bambini. Talora per penitenza scalzi,
con grossi ceri incartocciati in cima onde riparare la fiamma e serbarne
gli sgoccioli, alternando il rosario e cantando le litanie, o più spesso
una sconclusionata canzoncina mezza italiana e mezza vernacola e senza metro
per sì accennare, tra l'altro, alla leggenda dei ritrovamento dell'antica
immagine". |
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©2011 - Comunità Monastica Santa Maria di
Picciano |
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